Questa scoperta, frutto di una collaborazione internazionale che ha coinvolto le menti più brillanti del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, di istituti indiani e della King Abdullah University of Science and Technology (KAUST) in Arabia Saudita, scuote i fondamentali paradigmi della sterilità in ambienti ad altissimo controllo e apre orizzonti rivoluzionari sia per la protezione planetaria che per la biotecnologia. La camera sterile in questione è stata impiegata nella preparazione del lander Phoenix per la missione marziana del 2007.
Le camere sterili della NASA
Le camere sterili di NASA sono ambienti rigorosamente controllati, progettati per mantenere livelli contaminanti quasi nulli attraverso sofisticati sistemi di filtrazione dell’aria, decontaminazione chimica e regimi di pulizia estremamente aggressivi. Ironia della sorte, proprio in questo contesto, dove ogni minimo contaminante è considerato una minaccia alla missione spaziale, la ricerca ha rivelato che organismi incredibilmente resistenti, noti come estremofili, sono riusciti a sopravvivere e persino a prosperare. Questi microrganismi hanno trasformato l’ambiente “sterile” di riferimento di NASA in un laboratorio naturale per l’evoluzione, dimostrando come la vita, in tutte le sue forme, trovi sempre una via per affermarsi anche nelle condizioni più estreme.

Credits: NASA/JPL-Caltech/UA/Lockheed Martin
Raccolta dei campioni
Nel corso dello studio, i ricercatori hanno campionato ambienti critici all’interno della struttura del Payload Hazardous Servicing Facility presso il Kennedy Space Center di NASA, una delle tappe finali nella preparazione del Phoenix Mars Lander. L’analisi ha riguardato il sequenziamento genetico di ben 215 ceppi batterici, dei quali 53 si sono rivelati appartenere a 26 specie mai precedentemente catalogate. Il procedimento ha incluso l’uso di tecnologie di sequenziamento all’avanguardia e di microscopia elettronica a scansione (SEM), capaci di rivelare dettagli morfologici straordinariamente minuti e di indagare in profondità il patrimonio genetico di questi organismi, fornendo prove inconfutabili della loro unicità e della loro straordinaria resilienza.

Meccanismi di sopravvivenza
L’analisi genomica ha svelato che questi nuovi batteri possiedono una serie di geni che li dotano di strumenti di difesa eccezionali:
- Riparazione del DNA: molti ceppi combinano sistemi avanzati per la correzione dei danni molecolari, essenziali per resistere a stress fisici e radiazioni ionizzanti.
- Detossificazione e metabolismo rafforzato: altri geni permettono di neutralizzare sostanze tossiche e di mantenere un metabolismo adeguatamente potenziato, permettendo loro di sopravvivere anche in presenza di decontaminanti aggressivi e in condizioni ambientali ostili.
- Adattamenti strutturali: l’impiego della microscopia elettronica a scansione ha evidenziato strutture cellulari uniche e resistenti, che conferiscono a queste specie proprietà fenomenali di adattamento e durabilità, potenzialmente utili in applicazioni biotecnologiche, dalla medicina alla conservazione alimentare. Anche in sistemi estremamente regolati da NASA, dimostrano adattabilità.
Queste scoperte, estremamente precise e supportate da dati genetici e image-based, mettono in luce come anche gli ambienti più controllati possano celare misteri evolutivi e soluzioni innovative di fronte alle sfide imposte dallo spazio e dalla decontaminazione.
Protezione planetaria e ricerca spaziale
Questa scoperta avvenuta all’interno di ambienti progettati per essere asettici rappresenta un campanello d’allarme per la comunità scientifica e per le agenzie spaziali come NASA. La possibilità che microrganismi dotati di tali capacità di resistenza possano essere trasportati inconsapevolmente con le missioni spaziali comporta rischi di contaminazione dei corpi celesti, minacciando l’integrità delle ricerche in campo astrobiologico e il fragile equilibrio degli ecosistemi alieni. Allo stesso tempo, questa scoperta offre nuove prospettive: la comprensione degli adattamenti estremofili può indicare vie rivoluzionarie per modellare protocolli di decontaminazione ancora più stringenti e sviluppare piccole applicazioni biotecnologiche innovative che sfruttino questi geni per uso terrestre.
In un’epoca in cui persino gli ambienti più controllati da NASA rivelano la presenza di microforme di vita resilienti, come dovremmo ridefinire i protocolli di sterilità e protezione planetaria? Scrivicelo nei commenti, oppure esplora altri articoli su AstroCuriosità!